venerdì 27 aprile 2007

Privatizzazioni e nostalgie

La privatizzazione di Alitalia si è persa nella nebbia. In gennaio il minis tro Tommaso Padoa- Schioppa disse che era cosa fatta. Sono trascorsi tre mesi e ancora non è cominciata la due diligence, cioè l'analisi dei conti della compagnia da parte dei tre concorrenti. Il governo tira per le lunghe, forse aspetta che gli stranieri rimasti in gara, Aeroflot e il fondo americano Texas Pacific Group, si ritirino. A quel punto finirà per vendere ad Air One, unica compagnia italiana che partecipa alla gara.
Così si risolverebbero molti problemi. La nuova compagnia avrebbe il monopolio della tratta Milano-Roma, una gallina dalle uova d'oro che consentirebbe di evitare riduzioni di personale e l'eliminazione dei molti privilegi di cui oggi godono i dipendenti Alitalia. Il tutto, come sempre, sulle spalle dei consumatori. Perché l'Antitrust non dice che se Air One vincesse quella gara dovrebbe cedere ad altri metà degli slot Milano-Roma?
La realtà è che nessuno vuole più privatizzare alcunché. Chissà quale teoria giustifica la proprietà pubblica di una stamperia come il Poligrafico dello Stato in un Paese che ha un debito pari al 115% del Pil. Perché sindaci e presidenti di Provincia — che ogni giorno lamentano la scarsità delle loro risorse — devono possedere, e spesso aumentare, le loro quote di autostrade e altre imprese locali? Berlusconi in cinque anni di governo ha venduto solo una piccola azienda di tabacchi e oggi Prodi — come ha scritto Franco Debenedetti sul Sole 24 Ore
— sembra vergognarsi delle privatizzazioni del suo primo governo.
C'è nostalgia delle vecchie imprese pubbliche. Attribuire all'attuale governatore della Banca d'Italia, che allora dirigeva il ministero dell'Economia, e al ministro del tempo, Carlo Azeglio Ciampi, la colpa di aver privatizzato solo per fare cassa è diventato un refrain
quotidiano. La storia evidentemente non lascia traccia. Si dimentica che l'Iri di fatto fallì e che Telecom fu privatizzata per evitare quel fallimento. Si dimentica che l'obiettivo delle privatizzazioni era uscire da un sistema sovietico in cui metà dell'economia e tutte le banche erano controllate dalla politica.
C'è nostalgia dei manager pubblici, i vecchi boiardi. Gli imprenditori che hanno gestito Telecom in questi anni forse non sono stati molto efficienti, ma dieci anni fa Biagio Agnes ed Ernesto Pascale, i manager che gestivano i telefoni di Stato, proponevano di indebitare l'azienda fino al collo per cablare tutta l'Italia (il «Piano Socrate»): è stata Telecom privata a sviluppare la tecnologia che oggi consente di far transitare la banda larga Adsl sul vecchio doppino di rame, senza bisogno di cablare alcunché. In realtà Agnes e Pascale volevano indebitare la società perché così essa sarebbe diventata invendibile, e i loro posti garantiti. Furono anche tanto lungimiranti da internazionalizzare l'azienda comprando partecipazioni a Cuba e in Serbia, con il risultato che Telecom ebbe sempre difficoltà sul mercato statunitense. Altro che internazionalizzazioni vietate dal ministro dell'Economia, proposte delle quali non vi è traccia nei verbali del consiglio di amministrazione della società.
Ciampi e Draghi vengono accusati di aver consentito che i privati acquisissero il controllo di Telecom attraverso «scatole cinesi», un fatto che oggi preclude ai piccoli azionisti della società la possibilità di incassare il premio di maggioranza che invece incasseranno gli azionisti di Olimpia nel momento in cui venderanno le loro azioni Telecom.
Si dimentica che le scatole cinesi non nacquero al momento della privatizzazione, ma più tardi, quando Roberto Colaninno lanciò la sua Opa. In quell'occasione il ministero dell'Economia, preoccupato sia delle «scatole cinesi» sia del debito che l'Opa avrebbe indirettamente riversato sull'azienda, voleva consentire al consiglio di amministrazione di Telecom di difendersi. Furono il presidente del Consiglio, Massimo D'Alema, e la Consob (che impose a Telecom di osservare la
passivity rule prima ancora che Colaninno avesse trovato le risorse necessarie per lanciare l'Opa) a impedire quelle difese. (Si legga Giuseppe Oddo,
Sole 24 Ore dell'11 aprile).
Il rafforzamento delle Autorità di controllo era uno dei primi obiettivi del programma dell'Unione. Dopo un anno di governo c'è un disegno di legge governativo il cui iter parlamentare è perlomeno incerto e poi qualche scelta sorprendente nelle nomine alle Autorità. Nel frattempo, attraverso fondazioni e banche amiche, il governo sta cadendo nel vecchio vizio di intervenire nelle scelte del mercato.

Francesco Giavazzi, Corriere della sera, 26 aprile 2007