sabato 21 aprile 2007

Uccidere in nome dell’islam in Iran

Roma. Sei giovani basiji hanno ucciso in nome dell’islam cinque persone “moralmente corrotte”. Ma non saranno condannati a morte, pena prevista dal codice islamico iraniano per punire gli assassini: la Corte suprema di Teheran, rovesciando i verdetti di tre tribunali, li ha assolti. Al massimo, toccherà loro pagare una multa: il “denaro di sangue” – come si dice nella Repubblica islamica – 40 mila dollari alla famiglia della vittima per la vita tolta a un uomo, la metà se si tratta “soltanto” di una donna. I sei basiji scampati al patibolo – anche se la sentenza potrebbe non essere ancora definitiva – hanno convinto i giudici della Corte suprema raccontando di aver agito seguendo gli insegnamenti di un religioso islamico, che avrebbe spiegato loro: se le persone da voi ritenute moralmente corrotte non cambiano atteggiamento dopo il secondo avvertimento e se la giustizia non ha ancora preso provvedimenti contro di loro, siete liberi di ucciderle. Secondo il codice penale iraniano, l’accusa di omicidio cade se sussiste la prova che le vittime erano “moralmente corrotte”. Un po’ come una giusta causa.
Gli assassini hanno poco più di vent’anni. La milizia paramilitare cui appartengono è ben conosciuta fuori e dentro l’Iran: è quella di cui si vanta di aver fatto parte anche il presidente Mahmoud Ahmadinejad. Nata dalla mente dell’ayatollah Ruhollah Khomeini nel 1979, è celebre per i suoi piccoli soldati martiri, i bambini che formavano l’avanguardia dell’esercito durante la guerra con l’Iraq, negli anni Ottanta, mandati in prima fila sui campi minati, una chiave di plastica “made in Taiwan” appesa al collo, per aprire le porte del paradiso dopo essere saltati in aria, come ha raccontato lo studioso Matthias Küntzel. Oggi le milizie volontarie basiji si occupano ufficialmente di sicurezza, ma soprattutto vigilano sul rispetto delle leggi islamiche: improvvisano check point, fermano le automobili per controllare se l’alito delle persone a bordo puzza d’alcol, se le donne sono truccate o viaggiano con uomini non appartenenti al loro nucleo familiare, monitorano giornalisti, attivisti, proteste studentesche, come ricorda un rapporto dell’Agenzia per i rifugiati dell’Onu.
Tra le cinque vittime “moralmente corrotte” c’è una coppia di giovani: i basiji l’hanno accusata di aver avuto rapporti sessuali al di fuori del matrimonio, ma l’unica colpa dei due – scrivono i giornali iraniani – è stata quella di aver camminato in pubblico da semplici fidanzati. La serie di assassini risale al 2002. Nella città di Kerman, nel sud-est del paese, ci furono diciotto assassinii legati alla difesa della “moralità islamica”: soltanto cinque sono stati imputati al gruppo dei sei basiji. I miliziani hanno fermato la giovane coppia a passeggio, l’hanno trascinata fuori città e lapidata. Hanno finito i due gettandone i corpi in uno stagno dalle acque poco profonde, affogandoli dopo essersi seduti sui loro toraci. I macabri dettagli sono il frutto dei racconti e delle confessioni degli stessi miliziani agli agenti della polizia. Una delle altre cinque vittime è stata sepolta viva, le altre abbandonate senza acqua e cibo in mezzo al deserto, pasto per le fiere. Tre tribunali, prima della Corte, avevano individuato nella brutalità delle morti un accanimento eccessivo, ma i giudici supremi hanno ribaltato le sentenze. In nome della morale islamica.

Il foglio, 21 aprile 2007